Archeologia e Ceramica
Il legame tra il mondo moderno e quello antico passa attraverso lo studio sia di oggetti di uso comune che di straordinario valore, di reperti della quotidianità e di eccezionali esemplari artistici.
L’archeologia, per indagare il passato, da sempre si affida a manufatti rivenuti durante le indagini di scavo, i quali in massima parte risultano essere frammenti ceramici.
Vasi ed oggetti in terracotta diventano indicatori formidabili tramite i quali ricostruire numerosi aspetti del passato. Innanzitutto essi sono da sempre stati utilizzati per individuare la cronologia del sito archeologico: con un frammento ceramico si è in grado di riconoscere il passaggio dei romani, dei popoli italici o delle popolazioni preistoriche! In secondo luogo gli oggetti ceramici ci danno preziose informazioni sui modi di produzione del passato, sui traffici commerciali, sui contatti tra comunità distantissime e sullo sviluppo di culture sempre diverse in ciascuna parte del mondo. Per estrapolare da ogni singolo frammento ceramico le informazioni che esso contiene, l’archeologo si affida a metodologie diverse e complementari. Il manufatto viene pulito, catalogato, talvolta restaurato al fine si ricostruire in massima parte la sua forma originaria, sia esso un vaso o un oggetto non vascolare. Esso sarà poi disegnato, con tecniche e strumenti specifici, e fotografato sotto la luce migliore. Tuttavia di un frammento ceramico si studierà anche l’impasto, ossia l’insieme degli elementi e delle materie prime che insieme all’argilla compongono l’oggetto, ed il trattamento della superficie, riconoscendo, ad esempio, particolari tecniche di cottura, di rivestimento e di decorazione,
La ceramica, insomma, diviene per l’archeologia una materia sorprendentemente utile, parlante, grazie alla quale scoprire frammento dopo frammento le abitudini, il gusto, le necessità quotidiane delle comunità del passato!
Questo straordinario ed indistruttibile materiale, tuttavia, non era utilizzato solo per creare vasi! Di ceramica non è solo l’anfora all’interno della quale il prezioso vino viaggia nel Mediterraneo; di ceramica non è solo l’unguentario in cui si conservano i profumi, la ciotola in cui si mangia, la pentola in cui si cucina!
Fatte di ceramica, o meglio di terracotta, sono anche le statue. La scultura, infatti, non è solo quella marmorea o bronzea delle statue greco-romane! L’archeologia insegna che l’argilla è da sempre stato un materiale utile a plasmare forme d’arte o statuine che rappresentassero le credenze religiose.
Cenni storici
Fin da epoche antichissime mani esperte manipolavano l’argilla, la modellavano e la cuocevano ad alta temperatura per realizzare oggetti leggeri e resistenti. Già con le tecniche a colombino le popolazioni producevano vasi di buona fattura, di forme e dimensioni differenti. Le decorazioni venivano realizzate attraverso l’uso di strumenti variegati, come una semplice conchiglia o una canna vegetale! Ma non solo: tra i manufatti delle popolazioni paleolitiche sono state rinvenute anche le prime statuine di terracotta che rappresentavano la dea della fertilità! Tra esse la più celebre è la Venere di Dolnì Vestonice, proveniente dalla Moravia, la quale rappresenta forse la più antica attestazione di terracotta europea: essa risale a circa 29.000 o 25.000 anni fa! L’idea di fertilità e di bellezza si fondono in questo straordinario oggetto, che diventa uno modello d’ispirazione anche per la moderna scultura in terracotta.
Più avanti nel tempo, gli Etruschi, straordinaria popolazione italica, svilupperanno una forte tradizione nella lavorazione dell’argilla, non solo attraverso la realizzazione di stupendi manufatti vascolari, ma anche attraverso la stupefacente statuaria architettonica. Fregi, acroteri, antefisse e frontoni dei templi etruschi erano spesso decorati con sculture in terracotta, realizzate attraverso la tecnica a stampo. Essa consisteva nella modellazione di prototipi d’argilla, i quali venivano impiegati per la realizzazione di numerosi oggetti, fino al deterioramento della matrice stessa. Famosissima è, ad esempio, l’antefissa con la testa di Gorgone proveniente dal Santuario di Portonaccio, datata VI sec. a.C. Essa con il suo sguardo minaccioso e i capelli in foggia di serpenti, rappresenta il volto di Medusa, l’antica creatura mitologica in grado di pietrificare chiunque incrociasse il suo sguardo. Le antefisse, elementi di copertura dei tetti, non avevano solo una funzione strutturale, ma anche apotropaica: le figure mostruose, infatti, avevano il compito di allontanare gli spiriti maligni dal sacro spazio del santuario! Colui che visitando il tempio la vedesse, doveva provare un sentimento di timore ma anche riconoscere la bellezza e la cura nella realizzazione dell’oggetto.
Del Tempio dell’antica città etrusca di Veio a Portonaccio fa parte anche un gruppo statuario di eccezionale importanza, oggi conservato presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia (Roma), tra cui spicca il celebre acrotèrio policromo (cioè colorato) raffigurante il dio Apollo. La scultura, posta sulla sommità del tetto del tempio, colpisce per la grande bellezza, la cura nell’esecuzione e nei dettagli che l’autore ha aggiunto per la realizzazione del viso, delle vesti e dei capelli. Alcuni studiosi pensano che l’opera possa essere attribuita a Vulca, celebre scultore etrusco. La statua è a grandezza naturale e ricorda i koùroi, ossia le statue greche raffiguranti giovani uomini in posizione più o meno statica. Anche questa categoria di manufatti d’eccezione, restano fonte d’ispirazione per, soprattutto in quanto primi esempi di studio nella riproduzione del movimento del corpo umano.
In terracotta gli Etruschi modellavano anche i noti canopi, tra i più famosi si contano quelli provenienti dal centro di Chiusi. Tali oggetti sono legati al culto dei defunti, in quanto venivano realizzati come coperchi delle urne cinerarie in cui riporre le ceneri degli individui. Tali coperchi, tuttavia, si trasformavano in veri ritratti, poiché venivano modellati con fattezze umane.
In ultimo si ricorda, tra le produzioni ceramiche antiche, la categoria degli ex voto. Il termine deriva da una locuzione latina “ex voto suscepto” ossia “secondo la promessa fatta” che era una formula apposta su oggetti offerti nei santuari come ringraziamento per la preghiera esaudita. Spesso tali oggetti venivano realizzati in terracotta ed riproducevano volti, busti, parti anatomiche guarite, strumenti medici, o ancora gioielli, pesi da telaio, vasi offerti alla divinità in segno di gratitudine. Queste offerte votive somigliano sorprendentemente a quelle che ancora oggi si trovano nei santuari moderni e rappresentano un forte segno di devozione del fedele e di speranza per colui che si rivolge alla protezione della divinità.
Conclusioni
Questi esempi ci permettono di comprendere quanto la produzione ceramica di vasi o di elementi architettonici, possa essere stata importante per realizzare oggetti d’uso comune e opere d’arte di piccole o grandi dimensioni. Con la ceramica si creavano manufatti semplici, ma anche sculture in grado di veicolare un messaggio, di trasmettere un’idea. Dalle veneri preistoriche agli ex-voto romani, ciascuno ha plasmato con le terrecotte un’immagine, ed insieme ad essa un pensiero, un proposito.
Così oggi questa relazione tra presente e passato resta all’interno dei lavori moderni di modellazione dell’argilla. I mascheroni teatrali ispirati al mondo greco-romano, sono stati sicuramente una fonte d’ispirazione per la realizzazione dei personaggi satirici. Le forme morbide delle veneri preistoriche ci ricordano quanto e come muta il concetto di femminilità nel tempo, così come espresso nei corpi flessuosi di opere come “Lady Heart” o nelle fattezze della scultura “Favilla”.
Le immagini del passato scolpite nell’argilla, i vasi modellati al tornio e decorati da sapienti mani di artisti ormai scomparsi, restano nelle vetrine dei Musei e sulle pagine dei libri di storia, si osservano nelle collezioni o sui cataloghi delle mostre. In qualche modo, però, ritornano a vivere nelle produzioni moderne che dei sapienti maestri antichi non hanno perso ancora la memoria.
Articolo di Nadia Noio